Accesso agli atti del Comune da parte dei consiglieri comunali e tutela dei dati personali

Si ritiene opportuno segnalare la recente decisione del Consiglio di Stato n. 2089 depositata in data 11.03.2021, in tema di accesso dei consiglieri comunali agli atti del comune, che ha parzialmente modificato precedenti principi consolidati in materia.

Come è noto, l’art. 43 D.Lgs 267/2000 (Testo Unico Enti Locali) riserva un ampio potere di accesso ai componenti del Consiglio Comunale, e così si esprime al comma 2 :

I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.

Con la sentenza in riferimento il Consiglio di Stato, smentendo la precedente decisione del Tar Basilicata 574/2020, ha posto alcuni paletti ed introdotto alcuni criteri utili a delimitare tale potere, contemperandolo con altri diritti spettanti ad eventuali altri soggetti interessati, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali.

Il contenzioso era sorto per il diniego parziale opposto ad un consigliere che aveva chiesto l’accesso, mediante visione ed estrazione di copia, di «tutte le istanze pervenute all’Ente per la concessione dei benefici» previsti per la prima fase dell’emergenza epidemiologica nazionale dall’ordinanza del 29 marzo 2020, n. 658, del capo della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Con la propria istanza il consigliere comunale aveva chiesto di accedere all’«elenco dei nuclei familiari a cui sono stati concessi i buoni spesa» e a «un eventuale elenco dei nuclei familiari che avevano fatto richiesta ma erano stati esclusi».

In riscontro ad essa, il Comune aveva comunicato esclusivamente dati anonimi, senza l’indicazione dei nominativi cui le pratiche si riferivano: l’importo del contributo stanziato; il numero dei beneficiari e delle istanze ancora in esame; l’ammontare complessivo erogato; altre informazioni relative alle singole istanze (data di ricezione e numero di protocollo, composizione del nucleo familiare del richiedente, del reddito mensile dichiarato, di eventuali altre indennità già percepite, dell’esito dell’istanza e dell’importo erogato).

Nell’elenco era stata omessa l’indicazione dei nominativi dei soggetti istanti, con la motivazione che tali dati erano da considerarsi «sensibili» ai sensi del regolamento europeo sulla protezione dei dati [Regolamento (UE) 2016/679 - GDPR] e del Codice nazionale della privacy (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196).

Con la decisione citata, il Consiglio di Stato ha ritenuto corretta la decisione del Comune, che aveva ritenuto di controbilanciare il diritto d’acceso del consigliere con altri diritti tutelati dall’ordinamento. Per far ciò ha ribadito alcuni principi.

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Anzitutto, il Consiglio di Stato ha sottolineato che la norma attribuisce al consigliere un diritto esteso ai soli atti che «possano essere utili all’espletamento delle funzioni» proprie del consigliere.

In merito, il Consiglio di Stato evidenzia che espressamente l’art. 43, comma 2, del Testo unico sull’ordinamento degli enti locali, riconosce al consigliere comunale il diritto di ottenere dagli uffici dell’amministrazione «tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato». Sottolineando che tale limite espresso implica che il bisogno di conoscenza del titolare della carica elettiva debba porsi in rapporto di strumentalità con la funzione «di indirizzo e di controllo politico – amministrativo», di cui nell’ordinamento dell’ente locale è collegialmente rivestito il consiglio comunale (ai sensi dell’art. 42, comma 1, t.u.e.l.), e alle prerogative attribuite singolarmente al componente dell’organo elettivo (art. 43).

In particolare, lo scopo del diritto di accesso del consigliere comunale è quello «di valutare - con piena cognizione - la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione, nonché di esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio e di promuovere tutte le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale».

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Allo stesso tempo, il Consiglio di Stato ha sottolineato che il diritto di accesso del consigliere comunale si pone «in rapporto di integrazione reciproca», non ordinato su base gerarchica, con gli altri diritti fondamentali riconosciuti dall’ordinamento.

Ricordando analoghe pronunce della Corte Costituzionale, ha ribadito che nel nostro ordinamento il diritto di accesso non si pone come un diritto “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona.

Conseguentemente, ha concluso che non è possibile «individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri», e a tale regola non si sottrae l’accesso del consigliere comunale, che non può esercitarsi con pregiudizio di altri interessi riconosciuti dall’ordinamento meritevoli di tutela, sottraendosi al necessario bilanciamento con questi ultimi.

Sulla base di tali premesse il Consiglio di Stato ha ritenuto corretta e conforme a normativa la decisione del Comune di fornire informazioni anonime ma sufficienti per l’esercizio delle funzioni di rappresenta politico-amministrativa inerenti alla carica di consigliere comunale: i riferimenti temporali e i presupposti reddituali su cui le domande di provvidenze economiche erano state decise con il relativo esito, oltre ad un quadro analitico dell’operato degli uffici comunali competenti. Su questa base il consigliere è stato posto nelle condizioni di accertare se la gestione delle provvidenze economiche fosse stata legittima ed efficace e dunque di promuovere in sede consiliare ogni iniziativa finalizzata a sollecitare un controllo sull’operato amministrazione da parte dell’organo di indirizzo politico di cui è componente, e così si è realizzato un equilibrato bilanciamento tra le prerogative del consigliere con le contrapposte esigenze di tutela della riservatezza della persona.

Al contrario, la conoscenza di tali nominativi avrebbe fatto venire meno il riserbo su un dato personale, consistente nello stato di bisogno del soggetto richiedente il buono pasto, destinato ad una platea formata: «tra i nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza epidemiologica da virus Covid-19 e tra quelli in stato di bisogno, per soddisfare le necessità più urgenti ed essenziali con priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico» (art. 2, comma 6). La conoscenza dei nominativi dei soggetti in condizione economica disagiata, non strumentale all’esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo si sarebbe tradotta quindi in un inutile sacrificio delle ragioni di riservatezza di questi ultimi.

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Il Consiglio di Stato ha anche precisato come tale conclusione non sia in contrasto con il fatto che ai sensi dell’art. 43, comma 2, t.u.e.l. il consigliere comunale sia tenuto al segreto sui dati e le informazioni di cui è venuto a conoscenza all’esito dell’accesso agli atti dell’amministrazione, ritenendo che la norma sul segreto sia applicabile all’uso di dati e informazioni legittimamente acquisiti, mentre non esoneri dalla preventiva individuazione di quali dati possano essere legittimamente forniti al consigliere.

Cosa confermata dal fatto che dei dati acquisiti il consigliere potrebbe legittimamente far uso in sede consiliare, ove la conoscibilità delle sedute determinerebbe una potenziale conoscibilità erga omnes dei dati e delle informazioni riservate, con inerente aggravamento della lesione della riservatezza delle persone che solo il diniego di accesso può salvaguardare.

Conseguentemente, la sentenza citata e sopra riassunta introduce (e, in parte, conferma) i seguenti principi essenziali:

  • Il diritto di accesso è consentito ai consiglieri comunali per l’esercizio delle loro funzioni;
  • L’esercizio di tale diritto deve essere contemperato con altri diritti spettanti a terzi e, in particolare, con il diritto alla riservatezza;
  • In un’ottica di contemperamento dei diversi interessi il consigliere potrà avere accesso a tutti i dati utili al proprio incarico, con esclusione dei dati che possono risultare superflui e non pertinenti, specie ove la loro riservatezza sia tutelata da norme particolari, tra cui ricordiamo il Regolamento UE 2016/679 (GDPR), ricordato dalla sentenza in riferimento, ed in particolare i principi di cui all’art. 5, di cui ricordiamo il principio di minimizzazione previsto alla lettera c).